Altea e Francesca: intervista nuda a una mistress professionista e sua figlia

Londra. 20 maggio 2019. Chiacchiere casuali intorno ai tavolini rotondi dorati di un ristorantino persiano che si affaccia sulla vivace Queensway.
Francesca dice ”mia mamma fa la mistress”.
“In un paesino in provincia di Torino,” aggiunge.
La nostra reazione non poteva essere che una: “vogliamo intervistarla”.

Svariati aperitivi e cene e chiacchiere dopo, ci siamo trovati tra una croce di Sant’Andrea (non quella degli incroci ferroviari, l’altra) e una Cavallina (non quella per fare ginnastica, l’altra), in quella che una volta era la cameretta di Francesca. Qui lei e sua mamma, in arte Altea, si sono messe a nudo e hanno spogliato l’enigmatico mondo del BDSM di tutta la costruzione estetica e teatrale che impedisce a chi non c’è mai entrato di saggiarne l’essenza.

Potete leggere la trascrizione dell’intervista qua sotto o ascoltare il podcast. Spoiler: l’audio include incursioni di I’M the Ph, Bud Spencer e cani che abbaiano.

[L’intervista inizia da Altea. Le parentesi quadre contengono note che guidano la lettura oppure le iniziali A e F a seconda di chi sta rispondendo, Altea o Francesca.]

primo piano Altea mistress professionistaChi è Altea?
Altea è quella parte di me che ho sempre avuto, che però non sapevo di avere. È la parte maschile, sebbene tanti pensino che io sia una sorta di femme fatale durante la sessione. No, è la mia parte maschile, è la mia parte più nascosta. È dove mi sento più a mio agio.
E cosa fa Altea nella vita?
Altea ha praticamente trasformato la sua passione in un lavoro e quindi il mio lavoro è la Prodomme.

Cos’è la Prodomme e cos’è la mistress? Perché Prodomme forse è una parola a cui siamo meno abituati. La gente è più abituata a sentire mistress e a unire entrambe le figure in un’unica parola.
Mistress lo sono sempre stata. Quando ho perso il lavoro e mi hanno detto “perché non fai la Prodomme?”… a parte che non sapevo neanche di che cosa si trattasse. Mi hanno spiegato che la Prodomme è una Professional Domme, quindi una mistress che lo fa in modo professionale. E io ero contraria. Io portavo avanti una guerra contro le Prodomme. Perché per me era inconcepibile. Ero così purista che non era possibile vendere questa passione. E invece poi l’incontro con il mio compagno mi ha fatto cambiare idea, mi ha fatto vedere un’altra prospettiva, e quindi ho deciso di diventare sì Prodomme ma facendo solo ed esclusivamente ciò che mi piace.
Quindi senza andare a snaturare quella che è la tua identità.
No, perché era quella la cosa che più mi spaventava: la recita. Se devo recitare… già lo si fa tutti i giorni. E doverlo fare con qualcosa che faceva parte di me mi mandava in crisi. Non ti nego che le prime sessioni non le ho vissute benissimo, dovevo ancora capire. È stato un percorso dentro di me. Lo è ancora oggi, non è finito.

Hai detto “Mistress lo sono sempre stata”.
Sì.
Cosa significa?
Ho sempre avuto un carattere particolare. Mia mamma diceva “eh sei un maschiaccio, vuoi sempre comandare su tutti”, e quando non mi ascoltavano mi facevo sentire. Il BDSM mi ha aiutato a modificare questa parte, a gestirla in modo diverso.
E a canalizzarla, probabilmente.
Sì, assolutamente sì. Quando mi hanno parlato del mondo BDSM io non lo conoscevo. Cioè, sapevo ‘sadomaso’. Uno immagina ‘ti prendono e ti picchiano’. E invece è tutta un’altra cosa.
E adesso ci arriviamo.

[Mi giro verso Francesca]

primo piano nudo

Chi è Francesca? Chi è oggi/in qualità di che cosa sei qui/cosa vuoi dire di te/come vuoi presentarti?
[F] Allora, io sono la figlia di Mistress Altea, quindi sono qui in qualità di sua figlia, consulente d’immagine, che altro? Social media manager, diciamo.
[A] Su quello sei un’arpia.
[F] Non sono un’arpia.
[A] Sei cattiva.
[F] Non sono cattiva, sono… ho preso da mia mamma per questo, forse. Quando le cose devono essere fatte voglio che siano fatte bene e come dico io. Quindi sì, da questo punto di vista ho preso da te, mi sa.
[A] Sì però io lo posso usare il frustino, tu no.
[F] Ecco, io il frustino non lo uso, non utilizzo suppellettili.

Sei una mistress?
[F] Non lo sono. Non appartengo al mondo del BDSM. L’unico anello di congiunzione che può esserci, eventualmente, tra me e il mondo BDSM è la moda fetish. Perché comunque provenendo dal Punk e dallo stile Goth mi è sempre piaciuto molto il latex, il pvc, la pelle. Ma questo ben prima di sapere…
… di trovartelo in casa!
Esatto, ben prima di trovarmelo in casa. Quindi in realtà no, non faccio parte del mondo BDSM per niente.

Quindi diciamo che l’hai vissuto attraverso gli occhi di tua mamma o comunque quello che vedevano i tuoi occhi di cosa succedeva a un certo punto nella vostra vita.
Esatto.
Im questo momento ci troviamo nel dungeon* di Altea, che una volta era…
La mia cameretta.
È stata la mia cameretta fino ai 21 anni, quindi diciamo che ha visto un po’ la progressione da proprio bambina, liceo, università e poi ho messo uno stop. Sono andata via di casa ed è subentrata mamma, in questo caso, che ha trasformato la camera nel dungeon.
Quando tu sei andata via di casa in realtà la trasformazione era già in corso. Non dell’ambiente però.
Sì, diciamo di sì. Era già da un po’ di tempo che sapevo della professione di mia mamma, comunque di questa sua passione per questo tipo di contesto. Lo so da un bel po’, ben da prima che la mia camera fosse trasformata in dungeon. Ma in ogni caso mi ha chiesto il permesso prima di togliere tutte le mie cose e io le ho detto “assolutamente sì, togli tutto, togli tutti i poster dei Green Day, togli tutto”.
 *Un dungeon (termine inglese che indica una cella sotterranea) è l’ambiente attrezzato per lo svolgimento di pratiche BDSM

Quel brivido te lo porti dietro quando esci di qui e tutte le volte che la memoria ti porta a quel momento.

Adesso siete qua, vi state mettendo a nudo, mentalmente, soprattutto, ma anche fisicamente. Però parliamo di BDSM, di un mondo che è fatto di molta estetica, molti accessori, molti outfit, in cui c’è molta costruzione. Quanto conta tutta questa costruzione estetica e visiva? Che forse è la parte di questo mondo che la gente vede. La cosa difficile è andare a vedere cosa c’è dietro, oltre tutto questo.
[A] Contare conta, proprio perché è quello che la gente vede. La gente non vede magari me con i pantofoloni con i pupazzetti frustare una persona. Perché lo faccio. Perché io amo il fetish, però non è quello. Cioè, non è che se indossi quella divisa sei quella determinata cosa. Io lo sono sempre e comunque, sia con le pantofole che con i tacchi. Ovvio che vedere una mistress con gli stivali, il latex, vestita in un certo modo…
Appaga probabilmente l’immaginazione, l’immaginario.
L’immaginazione fa tanto e tutto in questo mondo e parte tutto quanto da lì, perché tutto parte dalla testa. Così come anche le pratiche sono importanti, sono fondamentali. Ma la testa fa tanto. Perché fare una pratica senza coinvolgimento è come andarsi a fare lo shampoo. Il bello è quando c’è il coinvolgimento e quel brivido te lo porti dietro quando esci di qui e tutte le volte che la memoria ti porta a quel momento.

Quindi diciamo che non ci si può inventare mistress, e non ci si può tanto meno inventare Prodomme. È probabilmente un’esplorare una parte di sé che c’è da qualche parte e che ha un sentire di quel tipo. Quanto si può coltivare e quando è dentro di sé ed è naturale?
Allora, si può coltivare, deve comunque esserci… un po’ di piacere ci dev’essere. Perché, ripeto, se è una recita chi c’è dall’altra parte se ne rende conto e poi la recita inizia a stare stretta, fa male e diventa una maschera pesante. Purtroppo Prodomme ci si improvvisa, tanto. Ce ne sono veramente tante ed è pericoloso sia per le pratiche sia proprio per il carisma che puoi esercitare su una persona. Ci sono persone estremamente deboli, sebbene la maggior parte dei sottomessi siano persone che nella realtà ricoprono dei ruoli dove devono prendere delle decisioni. Purtroppo mistress ci si improvvisa.

Come sei entrata nel mondo del BDSM? Quando l’hai conosciuto? Qual è stato proprio il primo passo dentro questo mondo?
Mi viene da ridere se ci penso. Avevo conosciuto un uomo, la classica storiella, nulla di importante, e chiacchierando un giorno mi aveva detto “saresti una schiava perfetta”. La cosa mi aveva lasciata un po’ così, anche perché poi sono andata a casa e la prima cosa che fai è: Google. E quello che mi è apparso è stato sconvolgente. Io sono rimasta sconvolta e mi sono detta non è possibile, questo è un pazzo, questo è un folle. Poi lui mi aveva detto “ma proviamo”. Sì, sì, proviamo, io ho voluto provare anche per capire. La cosa non mi era piaciuta per niente. Sai quando mangi qualcosa che non ti fa impazzire, prendi e metti via. E poi invece ti lascia quel retrogusto che dici però c’è qualcosa. E lì ho incominciato la mia ricerca. Ho iniziato a capire che cosa poteva piacermi. I primi incontri con le persone attraverso i forum… forse c’era da poco Facebook all’epoca, quindi c’erano ancora i siti, c’erano i forum vivi e lì ho cercato di capire, ma mi sono presa anche le mie belle fregature. Poi ho avuto la fortuna di incontrare gente del gruppo bondage* di Torino, e lì ho iniziato il mio vero percorso.
E l’hai fatta da sola questa cosa. C’è stata questa miccia, questo inizio, poi sei andata a cercarti le informazioni da sola, perché probabilmente sentivi che c’era qualcosa che ti poteva interessare, lì dentro.
Sì, sono andata avanti un paio di anni fino poi a decidermi di incontrare qualcuno. Cioè, di incontrare qualcuno di serio, perché avevo iniziato a incontrare un po’ di persone ma tutte esperienze negative.
Quindi tu andavi nei forum e scrivevi ad altra gente che trovavi. Quali sono gli argomenti? Di cosa si parla? Che dinamiche si creano?
Difficilmente si riesce a trovare qualcosa di concreto. Lì dipende anche dal nick che hai. Cioè, se hai il nick con ‘mistress’ allora attiri una certa tipologia di persone, che non ti sta ad ascoltare. Se metti un nome femminile, hai la maggior parte dei padroni, o presunti tale, che l’unica cosa che sperano è che tu dica “sì, fammi quello che vuoi”. Quindi è stato davvero difficile. È stato un po’ prendere un pezzo da uno, un pezzo da un altro. E non tanto nei forum ma “vediamoci per un caffè, chiacchieriamo”.
 *Il termine bondage riunisce tutte le pratiche di legatura e costrizione del corpo, eseguite principalmente per mezzo di corde.

primo piano mistress Altea mentre parla

E poi com’è evoluta questa cosa, come si è trasformata in quello che è oggi?
Ci son voluti anni per quello, ci son voluti davvero anni. Perché poi, appunto, ho incontrato il gruppo di Torino, ho iniziato ad andare alle feste con loro, a vedere la parte più dinamica del BDSM. Poi ho incontrato quello che oggi è il mio compagno e la trasformazione, buona parte, l’ha fatta lui, a partire dall’aspetto… Io ero molto, ecco, molto grezza. Vieni qui, ti metto alla croce, inizio a frustarti. E non c’era nessun genere di rapporto. Invece ho iniziato a capire che la persona contava e che non era solo l’oggetto con cui giocare.

A me piace vestirmi di pelle e a te piace vestirti di pelle.

Francesca, tu come l’hai vissuta invece? Quando ti sei resa conto che stava cambiando qualcosa nella vita di tua mamma? Quando ti sei resa conto di questo suo ingresso nel BDSM e come l’hai vissuto tu?
Allora, c’è da dire che quell’anno in cui l’ho capito, dichiamo, che mia mamma faceva probabilmente parte di questo mondo, era un anno un po’ di transizione. Avevo 15 anni, 16 anni, quindi ero un po’ hardcore, stavo sempre fuori di casa, non ascoltavo mai mia madre, era sempre guerra, ribellione, “voglio farmi la cresta”, “voglio andare alle feste”, “voglio andare ai concerti”. Facevo parte dell’ambiente metal, punk, quindi sapevo già che cos’era il mondo BDSM. Frequentando quel tipo di posti, i concerti metal, le ragazze con i corsetti, le ragazze con il tacco molto alto. Già iniziavo ad annusare che era qualcosa di tipo sessuale, che non era soltanto il tipo di abbigliamento. Sebbene mi piacesse tantissimo l’abbigliamento, era più qualcosa legato a un feticcio. E mi ricordo ancora, sono entrata sul computer, all’epoca non avevo un computer mio, quando avevo 15/16 anni. Sono entrata sul computer che era appunto di mamma e ho aperto una cartella a caso, non mi ricordo neanche perché l’abbia fatto. E dentro c’erano effettivamente delle foto di tacchi, di bondage, niente di spinto ma quelle cose che ti fanno capire, che dici – ok, mia madre, perché dovrebbe avere queste cose sul computer se non le interessano? All’inizio ho anche pensato magari non è roba sua, magari era roba del ragazzo con cui si vedeva all’epoca. Poi però ci ho pensato e ho detto – ok, no, c’è qualcosa che effettivamente mi torna, la cosa delle scarpe, la cosa delle foto ai piedi, c’è qualcosa che mi torna. Mi si è accesa una lampadina ma non gliene ho parlato, perché per me mia mamma prima di essere mia mamma era un essere umano. Ho capito che era un essere umano con le sue pulsioni, con le sue passioni e l’ho semplicemente lasciato cadere lì. E poi lei, qualche tempo dopo, quando ero già un po’ più grande forse, mi ha preso da parte e mi ha detto “ma tu lo sai che io faccio parte di questa cosa?”
[A] C’era stato il particolare di quel tizio che ti aveva contattato su Facebook.
[F] Ah, è vero, sì, mi aveva scritto un tipo su Facebook, con un nick falso, falsissimo, dicendomi delle cose fuori di testa.
[A] Era qualcuno che cercava la ragazzina.
[F] Sì, voleva tipo invitarmi da lui per fare bondage, cose del genere, mi aveva detto “ah ma secondo me siete dell’ambiente, vedo come ti vesti, i pantacollant di pvc, il corsetto”. E io, avendo già immaginato la cosa, gliel’ho detto a lei. E lei mi disse, appunto, “ma tu lo sai che…”. “Sì, certo che lo so, non è un problema”. E infatti lei mi chiese “come ti fa sentire questa cosa? Sei ok?” Le ho detto di sì, che non era assolutamente un problema, “a me piace vestirmi di pelle e a te piace vestirti di pelle”.
[A] Ecopelle.
[F] Ecopelle, vero.
Altea, tu l’hai vissuta bene questa cosa? Avevi qualche paura?
Sì, perché avevo capito che lei aveva capito, ma quello che io avevo capito è che forse l’idea che si era fatta lei era sbagliata. Perché ho detto – metti che il messaggio è stato sbagliato, vorrei che avesse un’informazione un po’ più giusta. Quindi sono andata con i piedi di piombo. Successivamente le ho anche fatto conoscere alcuni personaggi del mondo BDSM, persone di cui mi fidavo e di cui mi fido ciecamente ancora oggi.
E tu, Francesca, hai fatto delle scorribande in questo mondo? Hai provato? Hai avuto delle esperienze? Avete fatto qualcosa insieme? Oppure l’hai visto da fuori, attraverso Altea?
Io l’ho sempre visto da fuori, in maniera molto molto distaccata, proprio come una cosa che non mi appartiene. È una cosa che… non mi fa sentire in nessun modo, né bene né male. Sottomettere una persona non mi provoca né quel brivido di piacere né quel brivido di disgusto. Semplicemente la vivo come un’esperienza del tutto apatica. È capitato poi, ovviamente quando ero ben più che maggiorenne, intorno ai 24/25 anni, che ci fosse qualche schiavo che chiedesse anche la mia presenza. Ma era una presenza del tutto visiva, cioè io ero vestita in modo fetish…
[A] Contemplativa.
[F] Contemplativa. Io stavo lì a fumare, che, voglio dire, è praticamente il mio passatempo preferito quando non sto facendo niente. Stavo lì a fumare e in maniera molto distaccata guardavo la scena, ma non dovevo fare niente, non dovevo toccare.
[A] Ci hai provato però, mi ricordo, con il virtuale.
[F] Sì, una volta abbiamo provato quest’esperienza dello schiavo virtuale, che quindi significava semplicemente usare dello storytelling per cercare di…
[A] Cos’è storytelling?
[F] Eh vuol dire raccontare.
Costruire una narrazione.
[F] È una narrazione, esatto. Raccontare delle storie in cui si fa intuire una sceneggiatura, diciamo. E in realtà mi era stato detto che ero molto cattiva, cioè ero molto brava, ma io la vivevo come una cosa talmente pesante…
[A] Mi mandava i messaggi “mamma, poverino, mi dice che è in ginocchio” “poverino, cosa devo fare?”
[F] Io la vivevo in maniera pesantissima. E questo mi diceva cose tipo, non lo so, “sto piangendo dal dolore”, “sono ore che non faccio pipì perché non mi hai dato il permesso”. E io pensavo no ma così gli faccio venire la cistite, ma poverino, ma io cosa devo fare? Oppure magari quando mi scriveva io stavo facendo altro, magari stavo lavorando, stavo studiando, ero con i miei amici. Quindi la vivevo proprio come una cosa del tipo ma lasciami in pace, no? Cioè, mollami un attimo! Però non mollami, stai nel tuo ma proprio mollami, lasciami stare, fatti la tua vita, vivi. Quindi sì, diciamo che ho vissuto delle esperienze in prima persona ma non è davvero il mio. Mi ritrovo molto in altri contesti, ma in quello della dominazione spicciola così no.
Però, quindi, hai visto tua mamma all’opera?
Sì.
Com’è stato? Cioè, hai qualche ricordo delle prime volte? Non so, qualcosa che ti ha colpito o qualcosa di inatteso.
Sì, beh, ogni tanto ritornavo qua a casa, quando abitavo ancora qui, e c’era lei che mi apriva la porta, ancora molto indaffarata, magari tutta vestita di latex, però con le pantofole. Quello è un ricordo che avrò sempre.
[A] A volte cucinavo.
[F] A volte cucinava così. In realtà ho sempre avuto un bel rapporto con mia mamma, lei è sempre stata molto affettuosa nei miei confronti, molto carina, quindi magari arrivava con “Vuoi una tisana? Vuoi qualcosa?” però tutta vestita di latex, paurosissima. Era una cosa che dici – ok, dovrei essere spaventata ma in realtà no perché sei mia mamma e mi stai offrendo una tisana. Quindi c’era questa cosa dell’abbigliamento e lei che in realtà so benissimo essere una persona dolcissima. Questo contrasto tra l’abbigliamento e il lavoro che fa e poi quella che io vivo proprio come mia mamma. Forse questo è il primo ricordo che ho. E poi l’ho vista all’opera, sì, fa paura. Ma fa paura anche quando non è all’opera per me, perché è mia mamma. Penso che mi abbia fatto molta più paura la prima volta che mi ha beccata sbronza, quando avevo 17 anni.
Aveva già la frusta in mano?
No, mi ha seccato con un paio di parole. Mi ha guardato e mi ha detto una cosa del tipo “Guardati”. Punto. Ed è finita lì la frase. Io mi sono sentita talmente tanto in colpa che mai più una cosa del genere. Ma poi l’ha detto con un tono da “fai schifo, guardati”. Neanche ti sgrido, neanche sto a dirti che sei in punizione. Guardati, punto. Mamma mia, è stato terrible per me.
Quindi quando hai visto riversare questa dominazione sugli altri hai detto “ok, non sono più l’unica vittima”
Esatto, e non sono più l’unica che fa le cavolate e che viene punita perché fa le cavolate in quanto figlia, anche gli altri vengono puniti, quindi va bene.
E non è stato strano vederla in sessione?
In realtà no, davvero, non l’ho mai vista come una cosa strana, ma come penso che per lei non sia stato strano vedermi quando uscivo fuori con gli abiti di pelle, i tacchi e i capelli rasati ai lati. Sapevo che era una cosa che le piaceva e che la rendeva in qualche modo felice e quindi per me non è stata assolutamente una cosa strana vederla in quel contesto.
E per te, Altea? Com’è stata la presenza di Francesca? Tu hai provato a tirarla dentro?
No, quello no. Ho sempre voluto che fosse tutto molto spontaneo. Quando mi aveva detto che voleva provare il bondage, sapevo nelle mani di chi la stavo mettendo. Poi era già maggiorenne, quindi le ho detto “Fallo, fai questa esperienza”.

mistress Altea e sua figlia Francesca

Avevo questa domanda per Francesca che era “Com’è cambiata, se è cambiata, l’immagine che avevi prima di tua mamma e che hai adesso?” Però mi sembra di capire, in realtà, che forse si è arricchita di nuove sfumature.
In realtà sì, si è arricchita perché rimane sempre mia mamma. Per me ora è anche una Prodomme e oltre a essere una Prodomme è una persona che so che si occupa molto anche di quello che è l’informazione che sta intorno al mondo BDSM. Questa cosa del sano – consensuale – sicuro sempre è una cosa che ho sempre molto ammirato, perché mi piace che ci sia dietro una roba pensata, che non sia una roba del tipo – ma sì lo faccio, a caso, perché va di moda, perché fa figo, perché mi piace… C’è sempre stato un grande rispetto, da parte sua, nei confronti degli altri ed è una cosa che io ho sempre ammirato tantissimo. Quindi sì, l’immagine si è arricchita col tempo.

Altea, qual è stato il momento più difficile e quello più bello (che può essere più liberatorio o divertente o più inaspettato, comunque che ha scatenato qualcosa di positivo dentro di te) del tuo precorso? Se ci sono due momenti.
Quello difficile è stato senz’altro l’anno scorso, quando è mancato il mio schiavo. Quello è stato il momento più difficile. È una cosa che ancora oggi non riesco a superare perché lui si è suicidato. Io sono stata l’ultima persona a cui ha mandato un messaggio. E allora lì inizi con “se avessi detto”, “se avessi fatto” e vai avanti con un milione di domande e non riesci a trovare una spiegazione. Quello penso sia stato il momento più difficile. Poi altri ma li ho superati tranquillamente. I momenti belli sono tanti e se oggi mi guardo intorno, guardo le persone che ho intorno, che ho scelto, che hanno fatto un pezzo di strada con me, un pezzo di vita insieme, dove ci si è confrontati, dove si è cresciuti insieme, quelli sono i momenti belli.
Proviamo a trasmettere questa cosa: che rapporto si crea, umano, con una persona che tu definisci “il tuo schiavo”? Perché credo che la gente non si immagini… cioè, si immagina molto la costruzione, si immagina molto la performatività, si immagina molto i gesti…
Quello che si vede nei film, quello che si vede nei video, questo è quello che la gente vede.
Esatto, però a sentire parlare te, e poi anche a viverti, perché c’è un’amicizia che stiamo coltivando, abbiamo capito che si crea davvero un rapporto umano che va oltre la sessione, che poi si trasforma, perché in sessione è di un tipo, fuori dalla sessione è di un altro tipo.
Anche se poi a volte bastano degli sguardi e quelli sono i momenti più carini. Eh… lì praticamente metti a nudo le presone totalmente, tu ti metti a nudo, e vivi la persona a 360 gradi, contemporaneamente. Quindi c’è sempre questo timore, questa forma di reverenza, però è un po’ come se guardandosi io so, tu sai. Non so spiegartelo a parole, però è un po’ come sapere l’uno dell’altro che abbiamo aperto delle porticine che non apri con altre persone. E quindi di conseguenza anche il rapporto quotidiano cambia, diventa diverso, è molto più fluido, è molto più limpido. Non sei costretta ad avere le classiche maschere di cui parlavamo anche prima, che devi tenere, purtroppo, tutti i giorni.
E infatti questo rapporto sconfina anche nella vita fuori dal dungeon e fuori dalla sessione.
Sì, assolutamente sì. Cioè, io non ho problemi a frequentare anche le persone che vengono da me in sessione. Alcuni sono diventati poi miei schiavi, si va a mangiare insieme, si va in giro insieme, si gioisce insieme, a volte si piange anche insieme, è un bel rapporto.

Hai detto “sono diventati i miei schiavi”. Come si diventa i tuoi schiavi? Cosa succede ad un certo punto?
Ad un certo punto il legame diventa così forte che non ci sono più paletti. Anche perché io so perfettamente dove posso arrivare e dove fermarmi con ognuna di queste persone e io divento uno dei punti di riferimento. E poi c’è questo continuo confronto, che fa crescere anche me, perché poi io ho un carattere orrendo e invece sono poi costretta a guardarmi. A volte reagisco in un modo, dico “ma perché ho detto così?”. Poi inizio a cercare di capire perché mi sono comportata così piuttosto che così. Sapendo le persone esattamente come sono, conoscendole nell’intimo, magari dico qualcosa che so perfettamente che è andata a segno, quindi che ha ferito, e non mi vergogno se devo chiedere scusa. Perché la mistress non è la donna arrogante che non accetta le sue debolezze e non accetta mai l’”ho sbagliato”.
Invece si pensa che sia così, c’è un’idea un po’ deviata di questo equilibrio.
Quando qualcuno mi dice “guarda, ho conosciuto il BDSM” (così come l’ho conosciuto io, no?) attraverso quello che dice internet… quello non è il BDSM. Quello è solo una spettacolarizzazione, mettiamola così. E si tende a trasformare il BDSM in un grande fenomeno da baraccone.
È successo più volte negli ultimi anni, il cinema ha dato una grossa mano a rovinare l’immagine del BDSM.

La richiesta più strana che hai ricevuto, qualcosa a cui hai detto di no, oppure più strana che poi in realtà hai accettato perché non te l’aspettavi ma invece…?
Allora… Che poi, richieste… a volte te le fanno le richieste, ma non si arriva al dunque. Anche solo parlarne è già vivere un’emozione. Perché se mi chiama una persona e mi dice ”sai, il mio desiderio sarebbe quello di che tu tagliassi pezzi del mio corpo, li cucinassi e te li mangiassi”. Oppure quello che mi dice “vorrei che mi mettessi del detersivo all’interno del mio corpo”. A volte cerchi di trasformare questa cosa. Ad esempio, ti faccio vivere la tua fantasia, faccio finta di utilizzare un detersivo ma dentro c’è della panna, quindi tu la tua fantasia l’hai vissuta, non c’è poi stato l’epilogo triste.
Letale
Anche perché quando hai l’ormone a palla non ti rendi conto. E di danni ce ne sono stati.

Infatti una domanda è: dove sta la responsabilità? E che tipo di responsabilità ti senti tu addosso come Prodomme?
Enorme, è enorme la responsabilità. Ogni volta. Ma dalla sessione più semplice a quella un po’ più strong. E anche lì, è per quello che ci va la conoscenza. Lì riesci a capire quello che puoi fare. Ricordo un tizio che aveva la passione per il water bondage*. Ci mettevamo nella vasca e si faceva questo gioco. Un giorno mi dice “voglio arrivare allo svenimento”. No. Non sai cosa può succedere dopo, io non sono un medico. E lui mi ha risposto “vorrà dire che la prossima volta non ti dirò quando tirarmi su”. Io non ho mai più fatto venire quella persona, perché non è più un giocare sano, non è più un giocare divertendoti. E vivi con la paura. È successo di persone che si sono sentite male, lì non devi mai perdere assolutissimamente la ragione. Io ho avuto una persona, un bondager, che davvero sulla sicurezza mi ha tartassato, tartassato, tartassato. Infatti la prima volta che ho avuto un problema durante una sessione, avevo legato una persona, imbavagliata, quindi bocca piena, imbavagliata, legata con un k-way addosso, legato. A questa persona è andata di traverso la saliva e fortunatamente una persona che io stimo tantissimo mi ha sempre detto devi avere delle cesoie a portata di mano, sempre. E infatti ho tagliato questo nodo. Ce le ho sempre a portata di mano, perché dev’essere da monito, bisogna sempre stare sul pezzo.
Non si fanno mai sessioni se si è arrabbiati, non si fanno mai sessioni se si è bevuto anche solo un goccio di vino, se si è fumato qualsiasi cosa. Bisogna sempre essere lucidi, anche emotivamente.

Lo schiavo, o comunque la persona che viene in sessione e si sottomette, ha una responsabilità?
Eh sì perché se c’è qualsiasi cosa che sta andando storto, un minimo dolore non voluto, deve assolutamente dirlo. Io divento una bestia quando non mi vengono dette le cose. Ci sono delle priorità e la sicurezza è alla base. L’esperienza dev’essere positiva, dev’essere bella, non deve avere uno strascico negativo. Una costola rotta, piuttosto che una ferita sul labbro, un’escoriazione che non doveva esserci. Può succedere ma non deve.

Ovviamente metti in conto che ci sono dei rischi.
Sì. Può succedere tutto. Può succedere che mentre sto facendo trampling* con le scarpe su una persona, e quella è un po’ più sudata, si possa scivolare. Non mi è mai successo però fai attenzione. Nel momento in cui ti rendi conto che la persona è un po’ più sudata o che non sei stabile, che non hai dei punti in cui poterti tenere, molli tutto. Se ti rendi conto che in quel momento che devi legare, e non sei nel tuo doungeon ma altrove, e non hai portato le cesoie, non giochi. Se devi fare clinical, devi avere tutto.

Cos’è il clinical?
Eh. Questa è la parte più dolente perché quando le persone sentono queste cose qui, queste pratiche, poi iniziano a guardarti dall’alto in basso come una sorta di mostro. Il clinical comprende quelle pratiche che generalmente vengono fatte in ospedale. Che può essere la puntura, il clistere, il catetere, la sonda. E lì devi sapere dove mettere le mani, perché altrimenti siamo sempre lì, l’esperienza si trasforma in negativa.

Hai avuto delle guide quindi, delle persone di riferimento da cui hai imparato
Assolutamente sì. Ho sempre trovato persone fortunatamente che lavoravano nell’ambiente medico e quindi mi hanno dato una mano. Ho incontrato nella mia strada un medico urologo che è stato fondamentale per me e che ancora oggi ringrazio perché se so fare queste cose è merito suo. Per la pazienza, per la costanza. Perché non è stato “ci vediamo una volta, mi fai vedere e prendo appunti”. Ci vediamo ogni due o tre mesi, e tutte le volte che ho dei dubbi ti scrivo. C’è sempre stata tanta disponibilità.

Cos’hai imparato a fare? Se devi pensare a tutte le robe che hai imparato a fare…
Allora, c’era questa cosa di quando ho iniziato a suturare (che poi uso pochissimo, in realtà, la sutura). La sera, sul divano, invece di leggere un libro, piuttosto che mangiare patatine, io prendevo i mandarini e le cosce di pollo e suturavo. E c’era il mio compagno che mi diceva “sembri una sorta di nonna papera pervy”. E poi ho imparato a mettere un catetere, la base, le cose fondamentali.
Immagino che la gente non abbia idea di quanta roba ci sia da imparare per lavorare in questo mondo.
Tanta. Per questo poi ci sono le persone che si improvvisano e non si rendono conto dei danni. Però basta andare in un qualsiasi pronto soccorso o avere qualcuno che ci lavora all’interno e ti sa dire quanti, purtroppo, arrivano – alcuni cercano di nascondere, altri dicono la verità – con danni creati da persone non competenti. Poi in realtà, ripeto, l’errore ci può stare anche per chi ha competenza, ma certi errori si potrebbero evitare.
Beh banalmente quando è uscito Cinquanta sfumature c’è stato un boom di chiamate ai pompieri di gente legata.
Perché tutti quanti volevano il loro… chi non poteva permettersi la stanza dei giochi, almeno il cassettino dei giochi l’aveva. E lì hanno iniziato con le manette, che sono pericolose, se non sai come usarle puoi creare dei danni, o piuttosto il “ti lego con i collant”. Sono tanti i danni.

Le richieste più frequenti invece?
Il feticismo del piede.
Niente, questo feticismo del piede è una roba che non morirà mai.
Allora, io ho due tipi di feticisti che mi seguono: il feticista del piede e il feticista del capello.
Ok, quello del capello è molto più ricercato, nel senso che è quello che si sente di meno.
Si però è un mondo sconfinato.
Cosa chiede il feticista del capello?
Allora, tendenzialmente vuole vedere una rasatura piuttosto che un taglio o uno shampoo o mentre ti pettini e ti metti i bigodini con la mantellina oppure essere rasato da una donna e se la donna è vestita in latex, in pvc, fetish, meglio ancora.

Quindi in realtà la gente pensa a questo BDSM come un mondo tutto costruito però alla fine qualsiasi pratica del quotidiano può essere erotizzata.
Assolutamente sì. Alla fine facciamo tutti BDSM. Anche quelli che noi chiamiamo vanilla*, che sono quelli che non fanno nulla, ma non ci credo. A chi non è mai venuta voglia di avere il compagno, la compagna, lì di fronte, avere quell’impeto – ti prendo, ti stropiccio, ti metto a letto e te ne faccio di ogni? ‘Di ogni’ cioè prendimi con forza. Anche quello è sadomaso alla fine. Poi io sono più che convinta che ci sia un lato dominante o sottomesso in ognuno di noi.
 *Si definiscono coppie “vanilla” quelle che seguono un copione sessuale basico, limitato alla posizione del missionario e poco altro.

Ogni tanto riceviamo delle domande su “come si fa a switchare da una parte all’altra”? [Inteso da dominazione a sottomissione] Magari da parte di qualcuno che si sta esplorando e quindi ha interesse sia in un senso che nell’altro e vuole gestire entrambe le identità.
Non esiste un modo, esiste la persona con cui ti approcci. Perché io posso switchare, però… A me all’inizio è capitato di fare delle esperienze, proprio perché mi era stato detto “tu saresti la classica schiava” e di esserne rimasta colpita in modo negativo, per poi magari fare delle cose simili con quello che oggi è il mio compagno, divertendomi. Quindi dipende dalla persona, non c’è un modo. Quando mi dicono “voglio imparare a essere schiavo”: non è una roba che puoi imparare, è un’indole che hai o non hai. E poi, ripeto, dipende dalla persona e dai giochi che vengono fatti, soprattutto. Perché una persona che inizia, che è alle prime armi, non andrà a prenderne un’altra e a frustarla. Si inizia con cose soft, la benda. La benda è già molto BDSM, la benda, magari il mettere le cuffie, quindi toglierla totalmente dal mondo facendole ascoltare la musica, facendo delle cose con dei giochini… e forse voi di giochini ne sapete qualcosa. Anche quello è BDSM.

Cos’hai imparato tu della tua identità, della tua sessualità personale o delle tue fantasie? Cioè, hai scoperto qualche lato di te che non conoscevi prima o qualche fantasia in questo percorso?
Sì, diciamo che se mi guardo indietro, quello che ero sessualmente vent’anni fa è totalmente stato resettato, non mi ci ritrovo più, e capisco perché tante volte sono stata costretta a mentire. Mentre invece quando riesci a trovare ciò che ti piace e riesci a lasciarti andare, è tutta un’altra roba.
Quindi sicuramente reprimevi una grossa parte di te.
E ce ne sono tante che purtroppo reprimo. Perché non riesci poi a trovare la persona con cui confidarti, con cui poter parlare. All’inizio di Lady Altea io avevo un blog che seguivo, e i discorsi erano quasi sempre quelli. Blog che poi ho lasciato andare, ovviamente, perché c’è stata troppa tecnologia, io non riuscivo a starci più dietro.

Ah, Francesca, ti è mai venuto da chiedere un consiglio o, non so, avere un dubbio a livello sessuale e chiedere a tua mamma?
Magari a volte mi frequentavo con delle persone che avevano dei comportamenti che non mi spiegavo e quindi chiedevo a lei “possibile che abbiano un fetish, che vorrebbero da me qualcosa che non osano chiedermi e che quindi è per quello che si comportano in certi modi?” Oppure spessissimo delle mie amiche avevano dei dubbi su tutto questo genere di mondo e lei alla fine è la referente più vicina che abbia. Quindi le chiedevo “Ma, c’è questo tipo che chiede di mandargli le foto dei piedi, è un feticista?” All’inizio erano un po’ così le domande. Poi, andando più avanti, magari cose più psicologiche, ci poteva essere il ragazzo che, quando parlavamo di sua mamma, aveva un certo tipo di reazione e glielo chiedevo. Quindi sì, mi sono sempre confrontata quando c’era da parlare di questo tipo di cose, soprattutto i fetish, le ho sempre chiesto, e anche le mie amiche la utilizzano come sportello informazioni.

Beh dai è un ruolo anche questo. [dico verso Altea]
[A] Mi capita spesso di andare a prendere un caffè con delle coppie, o con un lui o con una lei, e parlare, chiacchierare. E non è mai una perdita di tempo. C’è chi mi dice “ma magri perdi tutto questo tempo” No, perché alcune cose le hai vissute, ed è bello sapere che c’è una persona che ti può ascoltare e può darti delle risposte. Io sono andata avanti tanti anni ad avere dei pensieri e pensare di essere malata.
Io ho l’invidia del pene e non ci posso fare niente.
Cioè, io avrei voluto avere anche il pene, tutti e due.
E quando ero ragazzina avevo già delle fantasie, però metti da parte e dici “vabbè, sono malata, c’è qualcosa che non va in me, c’è qualcosa di sbagliato”, e lo vivi male, e vai avanti pensando di essere sbagliata.
Fantasie di dominazione?
Eh, neh… sì, però c’era sempre questa cosa dove io ero attratta dal lato B dell’uomo. Ma io non sapevo assolutamente niente. Quindi sì magari all’epoca c’era anche la dominazione…
Magari te lo proibivi, ti proibivi anche solo di pensarci…
Sì, già ero strana, ero catalogata come strana per tanti motivi, perché già a 15 anni, in un contesto diverso da dove vivo adesso, avevo i capelli rasati, me li coloravo, andavo in giro con i pantaloni strappati. Quindi la gente già aveva questa tendenza a puntarmi il dito contro. Per tanti anni io ho vissuto pensando di non essere… poi vabbè, mi sono sposata, ho avuto una bambina, ho messo tutto da parte, adesso faccio la brava persona… e poi a un certo punto dici sì vabbè pero esisto anche io.

Altea, chi decide le regole del gioco? Perché si parla di ruoli, di gioco di ruolo. Chi è che decide le regole del gioco di una sessione?
Quasi sempre io. Ho solo bisogno di sapere quali sono i limiti, cosa piace e cosa non piace. Poi il resto lo costruisco io. Quando mi chiamano, oppure mi mandano proprio i dialoghi da dire, come mi devo vestire, non ce la faccio.
Ah ti arrivano proprio richieste specifiche, dettagliate?
Sì, devo essere vestita così, devo dire questo, devo fare questo. Io non sono un’attrice, non mi piace. Sono io che devo costruire tutto quanto. Non dico la storia, perché poi le fantasie le ha anche l’altra persona, però deve venire tutto spontaneo e non “adesso faccio questo, adesso faccio quell’altro.
Questo perché c’è uno scambio, perché anche tu ovviamente ottieni tanto dalla pratica. Immagino che l’obiettivo sia appagare delle fantasie che ti vengono sottoposte, quindi la fantasia di un sottomesso, ma devi anche ricevere qualcosa per te.
Mi è capitato di interrompere delle sessioni. Perché se non mi dai niente io non vado avanti. Quello è cibo per la mia testa, se non mi dai qualcosa con cui alimentarmi io non riesco ad andare avanti. Dev’essere uno scambio, dev’essere tutto in equilibrio, dare e avere.

Noi siamo un po’ i cercatori del piacere, per noi il piacere è il punto di inizio e di fine dell’esperienza della sessualità. Dove sta il piacere per te e per le persone che fanno le sessioni con te? Tu metti tanto di te stessa in gioco. Anziché trovare un mondo costruito, mi sembra che il piacere ci sia e sia da entrambe le parti.
Assolutamente sì. Il piacere è proprio, almeno per quello che mi riguarda, vedere una persona che si abbandona totalmente, che si lascia andare, che si gusta il dolore, che si gusta l’umiliazione. E quando vedo la partecipazione mi rendo conto che quella persona sta provando piacere. E non è detto che a conclusione del gioco ci sia anche la possibilità di avere un orgasmo. Non è detto perché lì dipende anche da come viene messo il gioco e da come decido io in quel momento.

Quanto trascini poi nella vita sessuale privata? A un certo punto c’è uno switch per cui tu non sei più Altea? O c’è una contaminazione dei due mondi?
Diciamo che ho un compagno che ha la mia stessa indole e diventa difficile, quindi a volte bisogna potersi fermare. Altre volte c’è una richiesta da tutte e due le parti di voler scoprire cose nuove (non dolorose, perché né io né lui amiamo il dolore). Però a volte, che ne so, magari stiamo solo abbracciati, passo la mano sul capezzolo e la voglia di prendere questo capezzolo e pizzicarlo c’è e mi devo fermare se ci tengo ancora ancora alla vita [scherza].
Giusto, perché dominazione e dominazione…
Noi giochiamo. Non abbiamo ruoli e giochiamo.

Questa è un po’ una mia riflessione, in realtà. Mi è capitato di sentire tanto parlare di potere, come equilibrio, come valore in campo nel mondo BDSM. Personalmente credo che, forse, non sia tanto una relazione di potere (ma questo eventualmente me lo confermi tu) ma centri forse di più il controllo. Per quello che vedo io, c’è qualcuno che ha il controllo della situazione e qualcuno che invece lo cede completamente. Che ruolo giocano questi valori? È un discorso di potere? È un discorso di controllo? Che tipo di legame si instaura? Quali sono i valori in campo?
Allora, potere… io non parlo di potere. Anche se in quel momento da parte mia c’è quella sorta di onnipotenza, di avere una persona e dire io con questa persona ci posso fare quello che voglio. E dall’altra parte di dire sono inutile  (passami questo termine, e ci sarebbe poi da discutere su questo termine) usami come giocattolo.
Ho perso il filo.
Che tipo di dinamica si instaura? Se è una dinamica di potere o di controllo.
Tutte e due, dipende dalla persona. Ci sono persone che hanno bisogno di qualcuno che li controlli, lì è un discorso ancora più complicato. Il rapporto BDSM non è la sessione. Il rapporto c’è sempre, a volte sconfina nella vita e quindi anche lì c’è la cosa di dire “fai così piuttosto che così”. Oppure ci sono persone non in grado di prendere delle decisioni e allora lì sta a te avere il polso e dire “ok adesso fai così, così e così”, che è una grossa responsabilità, non ti nego che ci sono delle situazioni che a volte non mi fanno dormire. Proprio perché dici ok, cosa devo fare? come posso muovermi? Come posso muovermi per non creare danni? Ci sono quelle persone che diventano totalmente dipendenti da te, e allora lì devi cercare di trovare le parole giuste (che per me già trovare le parole giuste è una gran cosa), per rimettere questa persona in carreggiata e farle capire che non può dipendere totalmente. Ci sono dei momenti in cui va bene, ma devi anche far sì che questa persona vada da sola, con le sue gambe.

[Verso Francesca] In realtà mi sembra mamma anche nel doungeon
[F] Mamma mistress

Il BDSM diventa terapia a un certo punto
[A] È terapia. Per me lo è stato, per esempio, e lo è ancora. Io ho modificato tantissimo il mio modo di essere, ascoltando chi faceva BDSM da più tempo. Il BDSM si va per forza a intersecare nella vita di tutti i giorni.
Ci sono dei periodi in cui però dici no, in questo momento non riesco a gestirlo?
Sì, assolutamente sì.
Per una questione di energia, di sforzo?
Può essere stanchezza emotiva, può essere stanchezza fisica, però io ho bisogno dei periodi per ricaricarmi, perché altrimenti non sarei umana.
Ad esempio, io non faccio le sessioni di sera e il motivo è perché io alla sera son piatta, che cosa potrei dare? Non ho più proprio energie da poter dare.

Siamo alla fine. Non so se abbia senso farla adesso questa domanda. Come ti prepari per una sessione? Cosa succede prima?
[A] Allora, prima c’è la costruzione mentale. Perché è vero che uno dice mi piace fare le cose al momento, però le fantasie vuoi o non vuoi te le fai. Faccio questo, faccio quest’altro, faccio questo. Poi, conoscendo la persona, sai anche com vestirti, dove poter catturare l’attenzione con l’abbigliamento, come impostare la sessione, se già da subito o se “ciao, come stai prendiamoci un caffè, poi iniziamo”. Dipende dalla persona.
Succede? Cioè, magari inizi molto soft, con una chiacchierata…
Sì, succede, magari con le persone nuove, con cui è già stata fatta la chiacchierata e si continua qui a chiacchierare. E cambia proprio il tono della mia voce.
[F] Confermo, fa paura.
Che è lo stesso che cambiava quando ti doveva cazziare?
[F] Esatto, the mistress voice. Cambia completamente, sì sì.
[A] Mi rendo conto che in quel momento è il momento, quindi “adesso ti spogli e iniziamo”.

Mistress Altea durante intervista nuda

Vabbè, a questa abbiamo già risposto credo: come si switcha da mistress a compagna, mamma, zia, vicina di casa, sorella? Come lo gestisci?
Ma, diciamo che Altea lì c’è sempre. Soprattutto con i miei nipotini, c’è anche lì! “Allora, cosa sta succedendo adesso?”
Anche loro conoscono il cambio di tono di voce?
Loro, stranamente, tutte le volte in cui gli parlo in questo tono, dicono “niente, niente” e non capisco se lo fanno per timore della zia o se la voce ha reso l’idea.
Beh diciamo che ti sei allenata in questi anni!
Assolutamente sì.

Francesca, tu hai visto un cambiamento di atteggiamento nel quotidiano, al di fuori, nel modo di porsi nei confronti le persone?
Beh sì. Quando avevo 12/13 anni mamma era molto molto più remissiva, molto più “prendo le cose come mi capitano nella vita”. Sempre testarda, ma molto più “fate di me quello che volete”. Ho visto proprio un cambiamento nel “no, adesso le cose le decido io, vanno come dico io“. E si è visto proprio tanto questo cambiamento negli ultimi anni, e infatti non ha più dovuto sgridarmi, è riuscita a raddrizzarmi. Sono un bel po’ di anni che non mi sgrida più, quindi probabilmente è cambiato davvero qualcosa.

Altea confermi? Sei riuscita a raddrizzarla?
Spero. Io me lo auguro sempre.
Dici che c’è ancora del lavoro da fare?
Per adesso sembra che… non voglio dirlo troppo ad alta voce.
Ha sempre timore a portarmi i fidanzati.
[F] No, non è che io ho timore, sono loro che hanno timore, cioè sono loro che muoiono di paura. Poi, “i miei fidanzati”, non ne ho avuti 1000!

E infatti, lì com’è? “Dai ti presento mia mamma”. Che già di solito è una cosa che crea pesantezza, ma “ti presento mia mamma” e devi fare una premessa o “sorpresa mia mamma è una mistress e questo è il dungeon”?
No, solitamente glielo espongo prima, magari anche nella frequentazione magari viene fuori. Poi non ho mai avuto problemi nel dirlo, anche ad amici o a persone con cui lavoro, in realtà, se viene fuori l’argomento ne parlo molto volentieri, non è una di quelle cose che mi tengo perché magari non so la reazione. È una di quelle cose che ho affrontato sempre molto naturalmente, anche con i miei fidanzati ed ex fidanzati. Diciamo che hanno sempre avuto molto timore reverenziale, perché già comunque “oh mio dio è tua madre, devo conoscere tua madre” e poi “oh mio dio è tua madre, potrebbe letteralmente picchiarmi”.
[A] Con qualcuno avrei dovuto farlo.
[F] Con qualcuno avresti dovuto farlo mi sa, magari, sì.
In realtà poi la conoscono e ovviamente si innamorano perché dicono, vabbè, è meravigliosa, è un cupcake, è un muffin, fantastica. Il mio compagno attuale la adora.
[A] Sì, però ha sempre timore quando parla con me.
[F] Ma perché sei mia mamma, è il timore reverenziale perché sei mia mamma, sei la mia genitrice.
[A] Però non gli farei mai del male.
Io non farei mai del male a nessuno.
Però se me lo chiede…
[F] …gentilmente…
[A] Forse sì.
Una volta però mi hai dato un colpo di frustino. Eravamo io e una mia amica. No, c’era…
[A] C’era l’altra mia nipote, più grande, non mi ricordo cos’è che stavamo dicendo. Il mio materiale richiede manutenzione, ora non mi ricordo se lo stavo ingrassando.
[F] Stavi ingrassando il frustino, forse, sì.
[A] È partito.
È partito da solo, sono cose che succedono!
[F] È partito perché io ho fatto una battuta un po’ infelice sulla sua altezza, dato che la supero di una quindicina di centimetri. Ho fatto una battuta molto infelice e mi è arrivato un colpicino ben assestato sulla coscia.
Te lo ricordi?
[F] Me lo ricordo. Non ho messo di prenderla in giro. Però a distanza di sicurezza.
Quando non ha niente in mano. 

Mistress Altea con in mano il flogger

Francesca, c’è stato del giudizio?
Sì, a volte sì, in particolar modo con dei miei amici che non lo sapevano. Nel momento in cui l’hanno scoperto, una ragazza l’aveva definito innaturale, l’ha definito una cosa contro natura che mia madre facesse questo tipo di cose e che addirittura me ne avesse parlato. Che potevano avermi deviato in età, secondo loro, adolescenziale. Io ho provato a spiegargli che non è che quando avevo 16 anni assistevo alle sessioni tranquillamente, così, fumandomi una sigaretta. Quella cosa è avvenuta quando ne avevo già 23/24. Però molti la fanno passare proprio come una roba “oh mio dio è contro natura”. Cioè, “tua madre fa queste cose e addirittura te lo dice?” C’è stato del giudizio. Ma anche tanta tanta curiosità, e sono mega contenta quando le persone mi dicono “voglio parlarle, voglio il suo numero, dammi il suo contatto, voglio chiederle delle cose assolutamente perché anch’io ho delle cose che non riesco a capire di me o del mio compagno o di una persona con cui vorrei stare ma…” Lì è una parte bella, secondo me, perché mi piace proprio che si creino questi contatti in cui una persona che conosco, o che magari non conosco da tanto tempo, si sente al sicuro da dire addirittura “dammi il numero di telefono di tua mamma, le faccio una chiamata perché ho questa cosa che mi frulla in testa e non so se effettivamente è una cosa normale o meno e voglio parlare con una persona che lavora in questo ambiente”. Quello è molto bello, è bellissimo.
Io sono la sua manager praticamente, io vivo di marketing, quindi trasformo tutto in marketing.

Per concludere, Altea, ti chiederei quali suggerimenti daresti a chi volesse entrare in questo mondo senza conoscerlo?
Allora, prima dare uno sguardo in giro, così come ho fatto io. Con la differenza che io poi mi ci sono buttata a capofitto però. Leggere, ascoltare. Ormai si vive tutto alla luce del giorno. Si fanno aperitivi a tema… dove però non è che si va con la frusta; sono semplici aperitivi dove si può parlare. Ci sono incontri. Ci sono le persone giuste, il problema è riuscire a trovarle. Nel momento in cui si chiede qualcosa a qualcuno, informazioni, e dall’altra parte c’è una richiesta di soldi, sesso, una prova, “devi provare”: No.
Ascoltare, tenere le orecchie sempre aperte. Lì è questione di buon senso. Purtroppo non esiste più “vai lì che sicuramente trovi”. Io ci ho messo un po’. Poi ho trovato, fortunatamente, le persone giuste.
Andare magari alle feste, ce ne sono tante. Tra tanta gente che frequenta le feste, qualcuno che può interessare, che può fare al caso, c’è. Però, anche lì, ci si mette lì da spettatori, si osserva, si valuta e si cerca di capire.

Ah, una domanda che mi sono dimenticata di farti. Secondo te, quali sono le caratteristiche che fanno di una Prodomme una brava Prodomme?
Allora, una Prodomme deve saper ascoltare. E anche questo io l’ho imparato sul campo eh? Perché io ero una di quelle che “pronto?” “Ciao bella voglio chiederti delle informazioni” e io già lì ti parto. Oggi invece “Ciao bella? Non ci siamo mai visti, sono Altea”. Perché poi trovi il deficiente che, vabbè, è deficiente, però a volte trovi la persona che è abituata a rapportarsi così, il ragazzo giovane che non sa come confrontarsi. Quindi l’ascolto. La pazienza. Che anche lì c’ho dovuto lavorare. Ci sto lavorando ancora, perché ogni tanto mi parte. E la voglia di mettersi in gioco e di essere anche umile. L’umiltà ci dev’essere. Quando mi hanno fermato alle feste perché forse stavo andando un po’ troppo esageratamente con lo strap-on, non me la sono presa. Anzi ho detto vabbè mostratemi come si fa. Una delle prime persone a cui ho fatto lo strap-on, penso che se lo ricordi ancora. Penso di avergli fatto anche una visita alle tonsille. Però, siamo sempre lì, l’inesperienza, la cosa che prendo, vado, faccio. Mi è capitato di vedere scene dove la mistress o il master reagiva con un “Come ti permetti?” “Nessuno mi può fermare”. No, non esiste. “Ok, ho sbagliato, fammi vedere dove”. “Come posso fare per non fargli del male?” Cioè, per non causargli dei danni. Fargli del male sì.
Male progettato, però.
Deve avere un senso. Ci deve essere un criterio. Ti faccio del male ma tutto deve avere un senso logico. Ma, d’altra parte, se tu vai da un masochista, lo incontri per strada, gli dai un ceffone, c’è una buona probabilità che questo ceffone ti venga restituito. Se il masochista è in un altro contesto, te ne chiede anche altri. Quindi ci deve essere una certa logica ed è quello che tanti non capiscono. Io non frequento più molto i social per questo motivo, perché ormai è un dilagare di ignoranza e maleducazione.
La mistress è la signora, è la donna che deve sempre rimanere l’oggetto del desiderio e non che “voilà, sono qui”. Ci dev’essere anche un minimo di eleganza. Detto da me, anche lì ci ho dovuto lavorare, perché io sono tanto camionista. Senza nulla voler togliere ai camionisti, per carità. Però devi sapere come, fra virgolette, ammaliare, per far entrare chi si mette nelle tue mani in un’isola ovattata. Se non lo accompagni non ci entra, lo devi accompagnare in un certo modo. Quindi ascoltare, l’ascolto è la cosa fondamentale in tutti i campi. Se vuoi entrare in questo modo devi ascoltare, se vuoi fare la Pro devi ascoltare. Ne ho viste passare. Io ho collaborato con tante mistress, ci sono state quelle che volevano imparare e che avevano quella luce. Io gioco solo più con persone che hanno quella luce particolare negli occhi, quella che avevo io all’inizio. Non gioco più con persone che mi dicono “devo tirare a campare”. Qui stiamo parlando di mettere in ballo le emozioni della gente e le emozioni, quelle, non sono in vendita.
Sai quante persone ci sono che hanno smesso di fare BDSM e di fare questa loro ricerca dopo i primi incontri, sia con Prodomme cha con persone che volevano fare la mistress, perché hanno avuto un disagio, non si sono trovati bene?

Mistress e figlia durante intervista nuda

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