La prima volta che ho visto Alithia Maltese stava legando il corpo di una ragazza durante una performance in un locale di Torino, l’occasione era la serata conclusiva di un festival dedicato al cinema erotico e sessuale.
Io e Ivano eravamo lì con qualche amic* e ci confrontavamo sul fatto di riuscire o meno ad abbandonarci a un’esperienza di quel tipo mettendo il nostro corpo nelle mani di un’altra persona.
Ricordo che quasi tutti non riuscivano a immaginarsi di cedere il controllo in quel modo, mentre io stavo realizzando che visualizzarmi legata, costretta, era uno scenario che mi incuriosiva.
Nella mia mente andava probabilmente in compensazione con il controllo che cercavo di mantenere tutti i giorni in vari ambiti della vita, a partire da quello lavorativo. E poi c’era tutta la dimensione estetica e coreografica che trovavo molto interessante.
Quell’immagine l’avevo poi lasciata nel locale e l’avrei ripescata solo molto tempo dopo, quando ho avuto l’occasione di conoscere Alithia, prima attraverso i rispettivi canali Instagram e poi di persona, e di iniziare a coltivare quella che sarebbe evoluta in un’amicizia inaspettata.
Mi sono avvicinata alla prima legatura con quell’idea di cessione del controllo, di abbandono totale del corpo, e nessuna conoscenza del kinbaku, la pratica giapponese della legatura stretta (o bondage giapponese, se volete). Alithia mi ha informata che avremmo cominciato con una legatura molto semplice e nessuna sospensione, che ci saremmo avvicinate gradualmente, dandomi il tempo di abituarmi. Comprendevo la sua premura ma in realtà non avevo la più pallida idea di cosa stesse parlando.
La sera della performance avevo conosciuto il kinbaku con gli occhi, ma mi mancava conoscerlo con il corpo e con la mente.
La prima legatura mi ha fatto accorgere di quanto sia superficiale quello che di questo mondo trasuda all’esterno, e quanto sia difficile raccontarlo attraverso le sole parole. E non proverò a farlo qui, anche perché il bondage è uno spazio fluido che ogni persona abita a modo proprio.
Ho iniziato a sperimentare la tensione e la pressione della corda sul corpo, a misurarmi con i limiti del fisico e con le rigidità della mente, a comprendere che prima di arrivare all’abbandono dovevo superare la resistenza e quanto sia fondamentale che corpo e mente lavorino insieme per trovare un equilibrio.
Poi c’è stata una seconda legatura, questa volta con sospensione, decisamente più impegnativa.
E una terza, quella del video, che è stata più intensa di quello che mi aspettassi, soprattutto da un punto di vista fisico.

“Voglio diventare una bottom migliore” è quello che ho detto Alithia alla fine della legatura.
Sento di essere solo all’inizio di un percorso nuovo che non so ancora bene dove mi condurrà. Sono ancora alla ricerca di una dimensione mia e di una che possa abitare insieme a Ivano, che nel frattempo ha cominciato a prendere lezioni da Alithia per imparare a legarmi. Insieme stiamo cercando un modo nostro di vivere le corde.
Con questo video abbiamo voluto dare una rappresentazione alternativa del bondage – spesso raffigurato in ambienti chiusi e toni drammatici – e costruire una narrazione en rose, illuminata dal sole e accarezzata dall’aria.
Ringraziamo l’agriturismo Cascina Cerola per averci ospitato nel loro spazio immerso nel verde delle colline del Monferrato.
